La vicenda narrata nel film ci trasporta in una regione spesso dimenticata dai media, ma fondamentale per comprendere le dinamiche complesse del conflitto israeliano-palestinese.
Dal lontano 1980, il territorio di Masafer Yatta è stato oggetto di contenziosi legali che hanno portato alla sua classificazione come zona militare chiusa. Questa decisione, avallata dalla corte suprema israeliana, ha condotto a decenni di tensioni e scontri. Le famiglie palestinesi residenti in questa area si trovano costantemente minacciate dall'esproprio delle loro case e terreni. Tuttavia, la resistenza locale non si è mai arresa, dimostrando una resilienza straordinaria.
L'occupazione prolungata non è solo una questione di confini geografici, ma rappresenta un simbolo più ampio di ingiustizia sociale e discriminazione. La vita quotidiana dei residenti di Masafer Yatta è segnata da restrizioni severe che limitano il loro accesso alle risorse fondamentali, come acqua potabile e servizi sanitari. Nonostante queste difficoltà, la comunità si organizza per preservare la propria identità culturale e ambientale.
Al centro del documentario c'è l'incredibile relazione tra Basel Adra, un attivista palestinese, e Yuval Abraham, un giornalista israeliano. Questa amicizia rappresenta un ponte tra due mondi apparentemente inconciliabili. Attraverso dialoghi sinceri e momenti condivisi, i due uomini riescono a costruire un legame profondo che supera le divisioni imposte dalle circostanze politiche.
Basel, seguendo le orme del padre, ha dedicato gran parte della sua vita alla difesa del territorio ancestrale. Yuval, dal canto suo, utilizza il proprio ruolo di cronista per dare visibilità alle sofferenze della comunità palestinese. La loro collaborazione dimostra come la solidarietà possa essere una forza trasformativa anche in contesti estremamente ostili.
Le autorità israeliane hanno intrapreso una strategia sistematica di demolizione delle strutture abitative presenti nella zona. Queste azioni sono giustificate con argomenti legati alla sicurezza nazionale, ma in realtà nascondono intenti colonialisti. Ogni volta che una casa viene abbattuta, i residenti si impegnano strenuamente per ricostruirla, dimostrando un coraggio straordinario.
Questo ciclo infinito di distruzione e ricostruzione è documentato con grande sensibilità nel film. Le immagini riprese durante le notti di fuga dagli squadroni militari e le giornate dedicate alla riparazione delle abitazioni testimoniano la tenacia di una popolazione che rifiuta di arrendersi. La presenza costante di un funzionario incaricato delle demolizioni diventa quasi un personaggio fisso del racconto, simbolizzando l'oppressione istituzionale.
Il documentario "No other land" va oltre la semplice denuncia di un'ingiustizia locale, proponendosi come un grido universale per la pace e l'uguaglianza. Attraverso storie personali e scene intime, il regista riesce a coinvolgere il pubblico in un modo profondamente emotivo. La narrazione non si limita a descrivere gli eventi, ma cerca di capirne le cause profonde e le possibili soluzioni.
L'esperienza vissuta da Basel e Yuval ci ricorda che la convivenza pacifica tra differenti culture e religioni è possibile, purché ci sia volontà politica e impegno reciproco. Il film invita a riflettere sulle responsabilità collettive e individuali nell'affrontare conflitti che sembrano senza fine.