L'arte del cinema può spesso essere uno specchio che riflette la storia e le emozioni di un intero paese. Nel film "Io sono ancora qui", una famiglia brasiliana affronta con coraggio e dignità la scomparsa del loro patriarca, Rubens Paiva, durante la dittatura militare. La scena in cui un fotografo chiede a una madre e ai suoi cinque figli di non sorridere, ma i bambini disobbediscono, simboleggia l'indomita volontà del popolo brasiliano di non lasciarsi piegare dalla tirannia. Questo momento cattura l'anima della nazione e invita a riflettere su come il Brasile ha gestito il suo passato.
Il film, uscito nelle sale brasiliane nel novembre precedente, ha suscitato un'ondata di discussione e riconciliazione nazionale. A differenza di altri paesi sudamericani, il Brasile non ha mai processato coloro che hanno commesso crimini durante la dittatura militare (1964-1985). Mentre Argentina, Cile e Uruguay hanno intrapreso misure per portare alla giustizia i responsabili delle violazioni dei diritti umani, il Brasile ha preferito voltare pagina per mantenere la stabilità politica. Tuttavia, "Io sono ancora qui" sta cambiando questa prospettiva, incoraggiando i cittadini a confrontarsi con un passato oscuro e a cercare giustizia per le vittime.
La narrazione cinematografica ha il potere di risvegliare coscienze e promuovere il cambiamento sociale. In questo caso, il successo del film dimostra che i brasiliani sono pronti a rivisitare il proprio passato e a riconoscere la verità storica. L'attenzione internazionale ricevuta da "Io sono ancora qui", incluso il riconoscimento all'Oscar, sottolinea l'importanza di preservare la memoria collettiva e di non dimenticare le lezioni del passato. Solo attraverso l'onestà e la trasparenza possiamo costruire un futuro migliore, basato sulla giustizia e sul rispetto dei diritti umani.