Il 23 giugno ha segnato una pausa nelle ostilità tra Israele e Iran, un momento di sollievo che purtroppo non ha avuto eco nella Striscia di Gaza. Qui, il calvario della popolazione palestinese e degli ostaggi israeliani prosegue inesorabilmente. La ragione di questo conflitto prolungato, il cui obiettivo finale sfugge persino a molti osservatori israeliani, rimane un interrogativo doloroso.
Oltre due milioni di persone a Gaza sono confinate in un'area ristretta, vivendo in condizioni insostenibili. Le distribuzioni di aiuti umanitari, sottratte alla gestione delle Nazioni Unite e affidate a un'azienda privata sotto protezione militare, sono diventate scenari di violenza quotidiana. La drastica riduzione dei punti di distribuzione ha aggravato ulteriormente la crisi, trasformando gli aiuti in una vera e propria \"trappola mortale\", come denunciato dal direttore dell'Unrwa, Philippe Lazzarini.
Mentre il 23 giugno gli israeliani festeggiavano la fine degli allarmi missilistici iraniani, pronti a riversarsi sulle spiagge di Tel Aviv, pochi chilometri più a sud, a Gaza, l'inferno persisteva. Questo contrasto crudele sottolinea una dolorosa disparità di attenzione e priorità, mettendo in luce l'indifferenza del mondo di fronte a una tragedia in atto.
Prima dello scoppio del conflitto con l'Iran, una parte dell'opinione pubblica israeliana si era mobilitata per chiedere la fine delle operazioni militari a Gaza, mostrando solidarietà con i bambini palestinesi vittime del conflitto. Tuttavia, l'attacco iraniano ha rapidamente spento questo slancio di compassione, riportando l'attenzione su altre minacce.
Parallelamente, le critiche internazionali verso Israele stavano crescendo, soprattutto in Europa. La Francia aveva accennato al riconoscimento dello stato palestinese e un vertice sulla soluzione dei due stati, presieduto da Francia e Arabia Saudita, era in programma a New York. Purtroppo, l'escalation con l'Iran ha mandato in fumo questi importanti appuntamenti diplomatici, lasciando la questione palestinese in un limbo.
Il mondo sembra aver dimenticato Gaza. Mentre l'attenzione globale era rivolta altrove, i palestinesi hanno continuato a morire a centinaia ogni giorno. L'iniziativa di New York è stata rimandata a data da destinarsi, e il riconoscimento francese della Palestina, pur restando un obiettivo, è ora privo di un calendario definito. Anche la decisione europea sulla violazione da parte di Tel Aviv dell'articolo due dell'accordo di associazione con Israele, che impone il rispetto dei diritti umani, è stata posticipata, indicando una generale riluttanza ad agire.
Si spera che i negoziati per un cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi israeliani riprendano presto in Qatar. Il successo di queste trattative dipenderà in gran parte dall'impegno del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha dimostrato di poter influenzare Netanyahu. Le discussioni potrebbero portare a un esito ben più ampio: la fine del conflitto a Gaza e una prospettiva politica per i palestinesi sono condizioni poste dall'Arabia Saudita per normalizzare i rapporti con Israele. Netanyahu ambisce a questa intesa con Riyad per consolidare una \"nuova Primavera in Medio Oriente\", e in questo contesto, la stampa israeliana ipotizza persino elezioni anticipate.
Tuttavia, queste manovre politiche non possono e non devono oscurare l'atroce sofferenza dei civili palestinesi e degli ostaggi. Questa situazione è durata fin troppo. È imperativo che tutti i paesi dotati di un minimo di influenza esercitino pressione per fermare questo massacro al più presto, ponendo fine a un'agonia che si protrae da troppo tempo.